venerdì 25 agosto 2017

A-normal Routine




Apro gli occhi e di getto guardo l'ora. 8:57. 3 minuti prima dell'ultima spiaggia dell'orario di lavoro. Casco dalle nuvole, come ogni giorno per carità, ma oggi sbatto il culo più forte.
Io odio, odio correre. Per andare al lavoro. Per il resto...normalità.
E' vero, quando la sveglia ha suonato, l'ho spenta.
Sempre la solita storia, ma almeno da 1 anno a questa parte la punto (senza contare esclusivamente sui miei ritmi biologici),
favolosi ma controproducenti e causa di attriti lavorativi.
Imprecazione fra le pareti del mio io ed inizio la maratona.
Inserimento modalità robot automatico con impostazione:
essenziale per essere semi-presentabile.
Vestizione con quel che capita
raccogliendo una cosa da terra,
prendendone una dall'alto atterrata sulla scarpiera,
cercando di cogliere con sguardo radar mentre cammino scalza per casa quello che mi serve, una scarpa qui, l'altra dispettosa di là, e così via.
Quando vuole la mia casa mi aiuta al momento del bisogno. Ed oggi lo fa.
Coglie la drammaticità del momento. Mi guardo e...cavolo.
Sono meglio vestita di tante volte in cui penso a cosa mettermi.
Meglio pettinata di quando mi pettino. Più carina di quando cerco di fare una faccia carina.
Supremazia dell'istinto e della casualità. Lavaggio faccia e denti.
Raccattaggio degli oggetti essenziali, sparsi in ordine sparso, e via. Salto la colazione ed esco. Sfreccio in bicicletta vintage perdi-pezzi sgonfia e cigolante, con sella buca-pantaloni, ma così bella, con come unica protezione contro il brusco inizio di giornata, i miei occhiali da sole. Arrivo, e scorgo all'orizzonte una fila di persone davanti alla porta chiusa. Classico. Quando non sono pronta nemmeno per aprire bocca, gli altri lo sono e sono pure impazienti. Bis di imprecazioni. Parcheggio e mi infilo dalla porta laterale. Scambio accessori:
via occhiali da sole, su camice, (realizzo ora, sgualcito).
Accendo luci, apro porta e fingo un portamento serio e professionale.
Mi impegno nella mimica facciale e intensifico lo sguardo per ravvivarlo, per nascondere il fatto che io abbia gli occhi aperti ma dorma, ma ma ma c'è sempre lei che mi tradisce:
la riga del cuscino che mi taglia la guancia. Beccata.
 Apro bocca e do voce ai sospetti della mia identità da trans. E' sempre così coi miei primi interlocutori della giornata.
Consumo velocemente e faticosamente la fila, poi eccola, finalmente la mia priorità assoluta, quella a cui, cascasse il mondo, io devo dedicarmi come prima cosa per iniziare bene la giornata, da farsi in qualsiasi modo e condizione:
colazione. Senza cibo sono un semplice vegetale,
con cibo mi trasformo in un essere senziente e con chance di buonumore.
Richiudo e vado. E la faccio senza correre. Sacralità. Torno, e di nuovo fila davanti alla porta.
Venite! In fila per vederla rincoglionita. Con le briciole vicino all'angolo della bocca. Con la voce mutante da uomo a donna. Con i segni del cuscino in faccia. Con un ciuffo da Sioux in cima alla testa. Truccata, ma dal giorno prima, e da panda.
Eh, se facessero la coda per vedermi quando sono nei momenti salienti,
avrei un bel seguito di spasimanti di ogni sesso, ma mai.
Va bene, eccomi. Mi occupo di voi.
Mi avrete fino all'ultimo bipede che si trova di fronte a me. La secco.
Mi siedo alla scrivania, accendo il computer ed apro la mail. Attendo l'esito.
I numeretti rossi compaiono ed iniziano ad aumentare, impilandosi, impazziti.
Crescono crescono crescono crescono crescono, poi di botto stop. 
Ancora rin-tin tin (almeno per un'altra ora) apro la prima a partire dal fondo
e inizio a dare risposta ai dilemmi salutistici dell'umanità.
Caso uno.
Sacerdote con fame nervosa causata da problemi nelle relazioni interpersonali.
Ehm, rileggo. Sacerdote in sovrappeso perché sfoga la frustrazione della sua solitudine sul cibo. Eh no. Io ti adoro caro prete sensibile e magnone, ti adoro, davvero! E... normalmente ti dedicherei tempo e parole, e ti consiglierei spassionatamente ed appassionatamente, ma no, non ce la posso fare, non oggi. Ho troppe cose da dirti ma il mio cerebro è in modalità risparmio. Aspetta. Ti risponderò, ma non ora.
E rieccomi qui fuori, seduta su uno scalino, consumando la mia sigaretta non-sigaretta che non si consuma, a riflettere su di me e, sulla mia vita.
Ancora?


Ma Io.

Io, io che sono nata ancora non so esattamente per fare che. Io, chiusa qui, in questa amata ma stretta-addosso azienda, come un leprotto con le zampette piene di salti legato ad un albero con un fiocco di seta colorato. Io, come una rondine che ha toccato il suolo, adagiata in un cestino foderato di morbidi cuscini, che fissa il cielo, immobile.
Io! Io! Io! Che ci faccio qui? Perché?
Io non dovrei essere in tour mondiale con la mia pianola sottobraccio? Non dovrei essere in giro per il mondo come ambasciatrice di pace? Io non dovrei essere a lanciarmi appesa ad una liana con gonnellino di foglie e top di noci di cocco urlando a squarciagola? Io non dovrei essere a fermare le baleniere col megafono in mano e il vento in faccia sulla nave arcobaleno?
Io non dovrei essere a riversare il mio mondo interiore su tastiera o carta, scompostamente seduta in una stanza con finestra vista mare  e brezza non stop?
Io non dovrei essere a difendere le specie protette dall'estinzione? A recuperare animali feriti e da curare? A fare da scudo umano ad alberi che qualcuno vuole insensatamente abbattere?
Non dovrei essere appollaiata su un albero da 18 ore per osservare il comportamento delle specie selvagge allo stato naturale? A fare ricerche su piante miracolose che salveranno l'umanità da mali incurabili? Ad unire la mia voce a quelli che urlano per chi non ce l'ha?
A stringere amicizia con mezzo mondo abbracciandolo senza un perché  Ad abbracciare l'altro mezzo mondo per compensare l'odio? A rispondere al telefono amico per dare coraggio a chi non crede più nella vita? A fare la speaker in ua stazione radio scassata e clandestina mettendo la musica che amo e parlando della vita?
Non dovrei tutto il giorno dedicarmi a esprimere me stessa con tutti i mezzi che ho? Non dovrei solo scrivere, dipingere, cantare, ballare, creare cose utili da altre inutili, giocare?
Non dovrei essere a setacciare il genere maschile per trovare lui, infine residente in Mongolia? Non dovrei essere a camminare sul suolo del mondo toccandolo con mano ma soprattutto rotolandomici?
Non dovrei essere non so dove, se non dove in quel momento mi va di girare?
Oppure non dovrei essere semplicemente in Calabria stesa sulla spiaggia di fronte al mio mare a riflettere su quello che dovrei fare?

Va beh, posso dirla anche così: oggi non ho voglia di lavorare.
Vorrei solo fuggire, fuggire verso sud con destinazione boh e vento in faccia.



sabato 5 marzo 2016

Salto la cena

Srotolo pensieri
e li lascio liberi.
Volano via come uccellini
felici e cinguettanti,
o scuri e spennati.
Non ne ho altre specie.


Acchiappo idee
ma mi scivolano fra le mani
come fulmini al contrario
con scia al seguito
per andare a fare chissà che giro.

Sorriso senza ragione
e provo ad immobilizzarlo li
sulla mia faccia
come uno stampino,
ma appena lo tocco
si irrigidisce in broncio.


Turbinio di Energia
allo stato puro
sfreccia dentro di me
cozzando contro le mie pareti.
Tic. Tac. Toc.
Chissà come fa
a nascere senza sosta
infinita e potente
dalla prima all'ultima goccia.

Provo a gestirla
a placarla
ad allentare la sua forza
ma nulla vuole fare
se non sgorgare rumorosamente.
E Ridendo.
Ma come faccio?
Sono mezza malata e fuori piove a dirotto.

Ho capito.
Per 3 sere ho dipinto,
Ballerò.
Anche stasera ballerò.

Ignorando la cena, ballerò.
Pensando a chi voglio bene, ballerò.
Sul mio tappeto, ballerò.
Scalza, ballerò.
Sotto gli occhi dei miei gatti, ballerò.
Con qualsiasi melodia, ballerò.
Senza risparmiarmi, ballerò.
Dimenticando tutto, ballerò.
Custodendo tutto, ballerò.



Musica di tutti i generi e genere umano.





venerdì 27 giugno 2014

piccone



Avere diamanti fra le mani
ed aprirle per afferrare aria.

Avere vetro fra le mani,
e stringerlo credendolo diamante.

Mani vuote,
Mani ferite.

Devono solo imparare
ad accarezzare
cogliere
custodire
respingere.
Vanno a scuola dalla vita.

Senza te
mi credevo libera
ma il mio spazio 
è piccolo senza il tuo


Parlo
(ma tu non puoi sentire)
Mi muovo
(ma tu non mi vedi)
Sorrisi a vuoto

Lacrime mi lavano la pelle
ma non asciugano sulle tue dita.

Con chi condividerò me stessa?

Lavorerò.
Duro.
A denti stretti.
Ma tu non lo saprai
fino a quel giorno.

Scavo nella miniera del mio cuore.
Sono stufa di bussare.

Chi vivrà nel nostro mondo in nostra assenza?

Indosso anelli magnetici e bevo trebbiano.

giovedì 26 giugno 2014

Fiore Mio


Ti ho custodito con me,
fra le mie mani
nei miei giorni più luminosi
nei miei momenti più bui.
Nelle mie vette di gioia,
nei miei burroni di dolore.
Come fossi parte di me.
Come fossi il tesoro più prezioso.

Ti ho conservato con cura
al mio fianco
con tutta la premura di cui solo il cuore è capace.
proteggendoti.

Ogni angolo di noi
aperto.
conosciuto
integrale, integrante.

Ho carezzato i tuoi riccioli
pensando a quanto più potessero
brillare al sole.
Hai pettinato i miei capelli color nocciola
sapendo quanto più caldi potessero essere.

Così, fianco a fianco,
una piccola lunga vita.

Ridendo, piangendo,
camminando,
correndo
saltando,
frenando.

Tu la mia leggerezza
io la tua leggerezza
tu il mio peso
io il tuo peso.

Poi.
Un abbaglio.
Perfezione.
Quella che ti fa perdere di vista
ciò che vedi, che tocchi.
Ciò che hai.
L'armoniosa imperfezione.

Così, nella nebbia, ti ho spinto.
Tanto, urlando
fino a quando, a testa bassa,
non sei più ritornato.
Hai guardato, ma senza muoverti.
Sbirciato, ma senza avvicinarti.
Io girata ed impassibile.

Una scossa.
Dove sei?
Mi rigiro e ti guardo.
Ti vedo all'orizzonte.
Cammini con nuovi passi, cauto e fiducioso.
Se libero.
Sei lontano.


PIANGO.

Lacrime grosse.
lacrime piene.
Lacrime gonfie
di noi.
Un succo puro e prezioso
che cade su terra arida e fertile
coi miei passi.

Solo lì, dove bagna,
potrà dare vita a quel fiore.
Quello lì,
il NOSTRO.
Piccolo, Profumato.
Perfetto.

Avrebbe dovuto nascere altrove.

Ovunque tu sia
sei la mia casa.

iO.
Senzatetto in cerca di riparo.



venerdì 13 dicembre 2013

Peanuts


Sguscio noccioline di felicità.

Un sapore antico.
Conosciuto.
Che occupa la mia anima.
Che voglio custodire nella mia bocca
e mai mandare giù.

Sapore che cancella i pensieri.
Sapore che annulla i pesi.
Sapore che fa vibrare la pelle.

Sapore indimenticabile.
Stampato impresso nelle mie papille gustative.

venerdì 15 novembre 2013

E' stato un bel fuoco.
Un fuoco nuovo.
Un fuoco antico.
Un fuoco improvviso.
Un fuoco autentico.
Un fuoco genuino.
Un fuoco vero.
Un fuoco vitale.
Un fuoco che ha atteso.
Nascosto.
Pazientemente.
 Nell'ombra, nel silenzio.
Colmo di speranza in ogni sua fibra.

Un fuoco che ha avvolto, scaldato.
Un fuoco che ha bruciato.

Un fuoco

che covava promesse.
Che covava ricordi.

Un fuoco che fino a quel momento
aveva vissuto solo per accendersi.

Non in un modo qualsiasi.
Non con una scintilla qualunque.

Ma solo con quella lì.

Quella scintilla che conosceva.
Quella che amava.
Quella per cui conservava le sue fiamme.
Per la quale custodiva il suo calore.

La sola con cui voleva bruciare.

Sai cosa?
Anche il più potente fuoco fatto con la miglior legna 
prima o poi, finisce.




Ed io e te, cosa siamo stati?
Un fuoco mai spento o un fuoco mai acceso?

lunedì 20 maggio 2013

Vita da stagno

Uno stagno.
Acqua ferma e putrida.
Acqua che tiene insieme vecchi pensieri già macinati, vecchi smaghi già respinti, vecchi odori che hanno a lungo nauseato, vecchio marciume.
Tutti li, stretti insieme.
Pesantezze confinanti.
Ecco dove vado a finire io a volte.
Immalgata in acque torbide e paralizzanti, come una ranocchia ingessata e stordita da trauma cranico.
Anziché gustare i sapori del mondo, anziché rincorrerne le arie, anziché roteare come una girandola sui sali e scendi celesti, con le gambe che ho, mi tappo il naso ed ingoio zanzare amare.

Una cosa volevo ricordare a me stessa.
Ciccia, non esiste un premio per chi inghiotte più merda o dolore.
Ciccia, chi cazzo ti forza a rimanere li, se non quella tua dura testa da mulo?
Ciccia, ma sta cazzo di punizione autoimposta, a cosa è dovuta poi?
Ciccia, caricarsi i pesi del mondo serve unicamente a spaccarsi la schiena.

Ciccia, essere felici non è una colpa.